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    5 Apr 2025

Piccole pillole di conoscenza di sé: il racconto di Viola Macino, psicologa clinica e tutor di #TMM

“Piccole pillole di conoscenza di sé” è il ciclo di incontri in gruppo per la condivisione di esperienze di vita pratiche ed emotive, guidato dalla psicologa clinica Viola Macino, tutor di Tutto Merito Mio. In questa intervista, ci racconta l’evoluzione del percorso, il valore della condivisione tra studenti e l’importanza di uno spazio in cui esplorare emozioni, difficoltà e strategie per affrontare al meglio il percorso universitario.

Perché un percorso di questo tipo è importante durante la formazione universitaria?

Chiediamo ai giovani di fare una scelta enorme in un momento in cui spesso non sanno ancora chi sono, cosa vogliono o come funziona davvero il mondo. E, molte volte, quello che si studia non corrisponde a ciò che si farà in futuro.

L’università è una grande risorsa, ma non può rispondere a tutte le domande. A diciott’anni scegliere è difficilissimo: ci si confronta con un forte senso di solitudine, con il peso della responsabilità e con il cambiamento dovuto ad un ambiente completamente nuovo. Ci si ritrova a vivere con persone sconosciute, a uscire dalla propria zona di comfort, a essere totalmente responsabili di sé stessi. È un’opportunità, ma porta con sé anche un carico emotivo.

Chiediamo molto ai ragazzi di #TuttoMeritoMio perché sappiamo che possono dare molto. E volevamo offrire loro uno spazio in cui potessero esprimere quanto questo percorso sia anche faticoso. Il cambiamento di facoltà, il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata, le pressioni esterne di familiari e società, ma anche le pressioni interne legate alle proprie aspettative: tutto questo è condiviso da studenti con storie e percorsi diversi, che vivono situazioni simili.

Come è nato questo percorso?

Mi sono inizialmente chiesta di cosa avrei avuto bisogno io durante l’università. Nel mentre ho iniziato a leggere le difficoltà, le testimonianze e i commenti, e la ricchezza di idee dei ragazzi di #TuttoMeritoMio su WeSchool, cercando di capire come avrei potuto supportarli. Inizialmente ero un po’ intimorita, perché era un lavoro diverso da quello che faccio di solito, ma poi ho capito quanto fosse importante: mi ha dato una grande carica emotiva.

Questi ragazzi hanno vite complesse, storie difficili e vivono paure condivise. Volevo creare uno spazio in cui non fossero solo “bravi, perfetti, performanti”, ma potessero anche parlare dei loro timori e delle loro preoccupazioni per il futuro. Mi rendo conto che chiedere di esprimersi davanti a persone sconosciute è difficile, ma dai riscontri è emerso che anche chi non parlava durante gli incontri traeva beneficio dall’ascolto degli altri. Ogni forma di partecipazione può rappresentare un percorso di crescita.

Era necessario creare uno spazio emotivo per studenti così performanti?

Sì, perché anche chi è molto performante ha momenti in cui non si sente al massimo e vede tutto nero. Nei primi anni di incontri c’erano anche studenti delle scuole superiori e questo dimostra quanto sia importante offrire un sostegno emotivo in ogni fase del percorso formativo.

Come è strutturato il progetto?

All’inizio c’era un piccolo gruppo di massimo 10 persone, con incontri sporadici in cui si parlava di ansia e frustrazione legata agli esami. Dal secondo anno si è sentito il bisogno di creare un vero e proprio percorso strutturato, così abbiamo deciso di organizzare tre incontri con lo stesso gruppo.

L’’unica richiesta diretta che faccio ai ragazzi è durante il primo incontro in cui  chiedo solo il nome e la facoltà: il grado di partecipazione è facoltativo, nessuno è obbligato a condividere se non se la sente. In questo gruppo io fungo da mediatore, proponendo i temi che emergono dalle necessità dei ragazzi. Facilito la comunicazione, sottolineo i collegamenti tra i vari interventi e aiuto a comprendere il funzionamento neurobiologico delle emozioni.

Abbiamo parlato dei punti di forza e di fatica di ciascuno di loro: caratteristiche che, possono avere una doppia funzione a seconda delle situazioni. Un tema molto richiesto è stato il metodo di studio, facendo emergere anche ad esempio l’importanza della colazione per le energie mentali. Abbiamo affrontato anche l’ansia e il fallimento: come li viviamo e come li gestiamo. Negli anni scorsi, abbiamo discusso anche di progetti futuri e pressioni esterne.

Di solito propongo un macro-argomento e da lì i ragazzi iniziano a condividere i loro pensieri. Nel corso dei tre incontri, si aprono sempre di più, sentendosi spero meno soli. Capiscono che le loro emozioni e difficoltà sono condivise da altri e questo le rende a volte meno spaventose.

Qual è l’importanza del gruppo in questo contesto?

Lavorare in gruppo è fondamentale. Si ricollega al concetto di peer education e dei gruppi di auto-aiuto: non solo si condivide, ma si ascoltano anche le esperienze e le emozioni degli altri. Questo crea un forte senso di comunità.

Fin dall’inizio stabilisco una regola chiave: “ciò che si dice nel gruppo, resta nel gruppo“. Se emergono situazioni di particolare fragilità, posso proporre incontri individuali per capire se sia necessario indirizzare lo studente verso un supporto diverso, suggerendo un percorso  più specifico con altri professionisti.

Perché è importante conoscere le proprie emozioni?

Prima dell’incontro di presentazione del percorso, il 13 febbraio, abbiamo fatto un brainstorming con alcuni dei  ragazzi che avevano già partecipato al percorso. Molti di loro hanno espresso il desiderio di avere più incontri e per più tempo, il che significa che ciò che volevamo trasmettere è arrivato. Alcuni hanno deciso di ripetere il percorso, proprio perché ha dato loro un forte senso di comunità e li ha aiutati a sentirsi meno soli e più connessi.

È importante creare un collegamento tra le emozioni e la nostra quotidianità. Anche quando ci fanno soffrire, le emozioni fanno parte di noi e possiamo integrarle. Il processo pensiero-emozione-azione ci aiuta a comprendere che, sebbene non possiamo controllare le emozioni, possiamo comprendere come gestirle e trasformarle in risorse.

“Piccole pillole di conoscenza di sé” non è un percorso terapeutico, ma un primo avvicinamento all’esplorazione emotiva. Desidera aiutare i partecipanti a porsi delle domande e a vivere con maggiore consapevolezza alcuni aspetti della loro vita.


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